UNA PRIMA ATTUAZIONE DELLA RISERVA DI CODICE TRA AUDACI SCELTE E STUDIATI SILENZI – Giuseppina Panebianco

Con l’art. 1 co. 82 l. 23.6.2017 n. 103, il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare decreti legislativi per la riforma, tra l’altro, dell’ordinamento penitenziario, indicando nel successivo co. 85 i relativi principi e criteri direttivi. In particolare alla lettera q) del comma da ultimo citato il legislatore delegante sollecitava l’«attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale». Com’è noto, la delega ha trovato compimento nel d. lgs. 1.3.2018 n. 21, che ha interpolato in più punti il codice penale. Il primo intervento è consistito nell’inserimento di una disposizione di principio, contenuta nel nuovo art. 3-bis Cp, che sancisce la riserva di codice. A questa operazione hanno fatto seguito una serie di innesti nel codice penale che provvedono: al ricollocamento nel corpo codicistico di alcune fattispecie base e circostanziate (in origine) extra codicem; alla ricodificazione di alcuni profili di disciplina relativi ai delitti di criminalità organizzata, che tuttavia insistono anche sulla parte generale del codice penale; alla trasposizione delle norme concernenti le ipotesi particolari di confisca, con i conseguenti adeguamenti delle disposizioni del codice di rito e delle relative norme di attuazione, coordinamento e transitorie. Il presente contributo si propone di indagare i profili del d.lgs. 21/2018 intesi a dare immediato riordino alla parte speciale del diritto penale, nell’intento di rintracciare un’intrinseca razionalità nelle recenti scelte di ricodificazione al di là delle dichiarazioni manifestate nella relazione illustrativa dello schema del decreto.

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