“REVENGE PORN” E SUICIDIO DELLA VITTIMA: IL PROBLEMA DELLA DIVERGENZA TRA ‘VOLUTO’ E ‘REALIZZATO’ RISPETTO ALL’IMPUTAZIONE OGGETTIVA DEGLI EVENTI PSICHICI – Marco Mattia

In data 17 luglio 2019 il Senato ha definitivamente approvato il testo del disegno di legge n. S. 1200, mediaticamente noto con l’espressione «codice rosso». Fra le novità più rilevanti del provvedimento spicca senz’altro l’introduzione di una nuova figura di reato nel codice penale, all’art. 612-ter (rubricato «Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti»), finalizzata a criminalizzare in via specifica il recente fenomeno del “Revenge Porn”, consistente in un’odiosa forma di abuso psicologico attuata tramite la condivisione pubblica di immagini o video a sfondo sessuale sui social network o sul web senza il consenso delle persone ritratte. La dirompente emersione di tale insidiosa pratica – fortemente correlata alla presenza sempre più invadente nella vita di relazione delle c.d. TIC (ossia, le “nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione”) – ha suscitato una forte inquietudine nell’opinione pubblica di tutto il mondo, anche a mente della crescita esponenziale conosciuta dal fenomeno negli ultimi anni. In tempi recenti la tematica ha avuto un forte impatto socio-culturale anche in Italia, dove gli episodi di “vendetta pornografica” si sono rapidamente moltiplicati, assumendo talvolta contorni drammatici e risolvendosi finanche nel suicidio delle vittime, esasperate dalla situazione creatasi a seguito della diffusione dei propri video o scatti privati su Internet (come avvenuto nella nota vicenda di Tiziana Cantone). Nella prima parte del presente contributo, dopo aver analizzato le “costanti criminologiche” del recente fenomeno, si procederà a tracciare un primo commento dell’art. 612-ter, al fine di evidenziare alcune non trascurabili criticità che affliggono la struttura di questa nuova figura di reato. Nella seconda parte del lavoro ci si soffermerà invece sulle spinose problematiche tecnico-giuridiche che insorgerebbero nella tragica (ma purtroppo non remota) eventualità che dal compimento della condotta tipica di “Revenge Porn” derivi il suicidio della vittima. La particolare prospettiva di indagine adottata nello scritto al fine di impostare la questione – che nel complesso, evocando i “grandi temi” della causalità psichica, della preterintenzione e della colpa in contesto illecito risulta foriera di notevoli spunti di riflessione anche di natura extra-giuridica – ha inoltre consentito di allargare la visuale fino a riportare idealmente i quesiti suscitati dall’interrogativo di partenza all’interno del complesso dibattito scientifico sorto intorno alla costellazione della “divergenza tra il voluto e il realizzato” rispetto al tema dei decorsi causali psichicamente mediati. Procedendo in tal senso il contributo, pur prendendo le mosse dal summenzionato “caso di specie”, giunge progressivamente ad illustrare la complessiva criteriologia di accertamento che nella prassi sarebbe opportuno adottare non solo rispetto ai casi di “Revenge Porn” seguito dal suicidio della vittima, ma anche per la risoluzione di tutti quei casi in cui dall’esecuzione del delitto doloso di base derivi, quale evento ulteriore non voluto dal colpevole, il suicidio della persona offesa.

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