NESSUNO PIÙ AL MONDO DEVE ESSERE SFRUTTATO: NUOVI STRUMENTI PER UNA VECCHIA UTOPIA – DIANA GENOVESE
Partendo dal problema dell’opportunità di reprimere penalmente lo sfruttamento lavorativo, considerato peraltro il sostanziale fallimento del reato di caporalato (vecchio art. 603-bis Cp), il presente contributo si incentra sull’analisi di alcune fattispecie penali e su come queste sono state utilizzate dalla giurisprudenza per contrastare lo sfruttamento lavorativo, sostenendo al contempo come un’adeguata ricostruzione del bene giuridico sotteso ad ognuna di essa possa costituire un valido strumento orientativo per il giurista. Il quadro teorico che supporta tale analisi propone una nuova concezione di dignità umana, declinata in termini tali da non porsi in conflitto con la libertà di ciascuno, consentendo a tal fine di individuare i più adeguati meccanismi di protezione delle vittime di sfruttamento lavorativo.
La lettura dei precedente giurisprudenziali e dei documenti internazionali in materia di tratta di esseri umani dimostrano come la riformulazione del reato di sfruttamento lavorativo operata con la legge n. 199/2016 (art. 603-bis Cp), pur avendo posto alcuni problemi ermeneutici di cui la giurisprudenza dovrà farsi carico, soprattutto con riferimento al suo ambito applicativo rispetto alle preesistenti fattispecie penali (in particolare artt. 600 e 601 Cp), offre inedite potenzialità di repressione del fenomeno che più propriamente si adattano all’attuale contesto economico-produttivo.